[Testo] Episodio 100: Tre Falsi Miti sulla Mindfulness

Negli ultimi anni la Mindfulness è diventata un argomento così popolare che sembra essere entrato in ogni aspetto della vita umana. Chiunque dispensa consigli su come diventare più consapevoli. Ci sono app di Mindfulness pubblicizzate in tv durante gli eventi sportivi. Wall Street e molte grandi aziende assumono esperti di Mindfulness, lo stesso avviene nelle scuole, e la Mindfulness è ormai uno dei rimedi più accreditati per disturbi che vanno dall’ansia alla depressione all’obesitá. Con simili aspettative e con sempre più personaggi famosi che la sponsorizzano, è cresciuto molto l’interesse a praticarla, a praticarla bene e a stare meglio.

L’ultimo aspetto è quello più problematico: la Mindfulness infatti non ha a che fare con lo stare meglio. E nel tentativo di renderla più appetibile, è stata diluita a tal punto da aver perso molti legami con le sue origini. Non stupisce che la scrittrice Ruth Whippman abbia pubblicato un articolo sul New York Times in cui afferma che i sostenitori della Mindfulness hanno creato una cultura discriminatoria che fa sentire in qualche modo “sbagliato” chi non pratica. Credo sia giunto il momento di sfatare alcuni falsi miti che la Whippman e molti altri hanno alimentato – e ancora alimentano – circa la Mindfulness.

Mito #1: la Mindfulness rende felici

Nel suo articolo, la Whippman scrive che “per essere il più felici possibile, dobbiamo liberarci dalla tirannia del nostro pilota automatico e vivere appieno nel momento presente”. Questa idea che l’obiettivo della Mindfulness è renderci felici è uno degli equivoci più diffusi sulla pratica e fa sì che molti si convincono di non praticare bene o che con loro la pratica non funziona. Mindfulness vuol dire stare con ciò che c’è nel momento presente, bello o brutto che sia, in modo non giudicante. A volte il momento presente può essere doloroso e per niente piacevole. Fa parte della vita; vivere significa anche avere momenti sgradevoli di forte disagio che non vediamo l’ora che finiscano. L’approccio della Mindfulness suggerisce di “stare con” con quel disagio, di non cercare di evitarlo e neppure di capirlo. “Stare con” è sufficiente.

Forse ti stai chiedendo “Perché dovrei desiderare stare con il disagio? Provare disagio non mi piace per niente, e se pensare alle mie prossime vacanze mi fa stare meglio non vedo perché non dovrei farlo”. È un’ottima domanda e tutto dipende da quello che vuoi ottenere da quel momento. Se stai ascoltando un amico mentre ti racconta le sue difficoltà, pensare alle prossime vacanze forse non ti rende l’amico che vorresti essere in quel momento! Mindfulness significa “stare con” il tuo e il suo disagio e notare la tua tendenza a pensare a qualcos’altro.

Mito #2: distrarsi dalle preoccupazioni è cosa buona e giusta

Uno degli argomenti principali di Ruth Whippman contro la presenza mentale è che avere pensieri/obiettivi/desideri futuri per cui impegnarsi riempie le nostre vite di soddisfazione e significato. La sua tesi è che pensare a quegli obiettivi e a quei desideri è un bisogno umano, e visto che tale bisogno ci allontana dal momento presente, meglio lasciar perdere la Mindfulness. Prosegue poi dicendo che per molte persone la vita di tutti i giorni è orribile ed è nel loro interesse pensare a qualcos’altro rispetto a ciò che stanno facendo. Ancora una volta siamo di fronte alla trappola della felicità – nella quale caschiamo tutti – che dice che dovremmo SEMPRE essere felici, senza eccezioni.

Il problema qui è che la tesi della Whippman non regge il confronto con la ricerca, neanche quella sulla felicità. Nel corso di un evento TED, lo psicologo e ricercatore Matt Killingsworth ha trattato questo argomento e condiviso gli esiti di uno studio effettuato su oltre 30.000 persone. Il risultato finale è stato che siamo più felici quando riusciamo a stare nel momento presente, anche se ciò che c’è in quel momento non ci piace.

Mito #3: momento presente significa zero sogni ad occhi aperti e zero pianificazioni

Questo è forse il mito più difficile da sfatare, soprattutto quando la Mindfulness viene ridotta a un fenomeno di tendenza o viene raccontata con frasi che non ne rendono appieno il significato. I pensieri che sorgono nel momento presente indicano che qualsiasi sia il momento che stai vivendo, ne sei intimamente coinvolto. Per qualcuno questo vuol dire sognare a occhi aperti, oppure pianificare la prossima vacanza. Può anche voler dire SCEGLIERE di pensare a quella vacanza perché la nostra esperienza in questo momento è particolarmente difficile, e non perdiamo nulla se scegliamo di scappare altrove con la mente. Nel suo articolo Ruth Whippman dice che “uno dei prodigi più incredibili del cervello umano è la sua capacità di muoversi in ogni istante tra la realtà del presente e le fantasie del passato e del futuro”. E ha ragione! Quando utilizzata in modo appropriato, quella capacità è un dono straordinario che abbiamo.

La Mindfulness ci aiuta a evitare quel fenomeno che il dottor Killingsworth chiama “il divagare della mente”. Accade quando ci allontaniamo inconsapevolmente dal qui e ora o quando ci distraiamo per evitare il disagio del momento presente (ma ne paghiamo comunque il prezzo). Per esempio, mentre stiamo partecipando a una riunione noiosissima, la nostra mente divaga pensando a cosa mangeremo a pranzo, e per questo ci perdiamo alcune informazioni importanti che ci servivano. Oppure, ritornando all’esempio dell’amico affranto in cerca di ascolto, lasciare che la nostra mente si distragga mette a rischio il nostro rapporto di amicizia con lui.

Mindfulness è molto di più di un tipo di meditazione o del dimorare nel momento presente. Vuol dire essere in grado di osservare noi stessi e fare scelte consapevoli su come vogliamo vivere la nostra vita.