[Testo] Episodio 172: Mindfulness in Azione

Negli anni in cui il disegnatore della rete televisiva NBC Art Lien ha raccontato i lavori della Corte Suprema americana, è stato letteralmente gli occhi dei cittadini. Ancora oggi Lien segue le udienze della più alta corte federale – dove sono rigorosamente vietate le macchine fotografiche – munito di un piccolo blocco di carta e alcune matite colorate. Subito dopo il termine dell’udienza va in sala stampa dove acquerella le immagini, le scansiona e le invia alla redazione per essere pubblicate, di solito ancora prima che gli altri cronisti abbiano iniziato a battere i propri pezzi.

Si potrebbe pensare che un artista preparato e di successo come Lien sia totalmente confidente e sicuro dei propri mezzi. Ma nel periodo in cui ho lavorato come reporter presso la Corte Suprema, mi sono reso conto che non è così. Una volta Lien mi ha confessato che è ancora perseguitato dai dubbi e che a volte si sorprende a pensare “caspita, non sono più capace di disegnare”.

Allora, per portare a termine il lavoro, smette di dare retta ai pensieri.

Quando inizia un’udienza e comincia a disegnare, Lien entra in uno stato di completo assorbimento. Smette di dare ascolto al suo dialogo interno. Lascia che le matite trovino da sé i propri percorsi sulla carta. Per quanto costretto da vincoli di tempo, di spazio e di argomento, e per quanto schiavo della solita routine, Lien riesce in qualche modo a liberare la propria creatività.

E da tutto questo nasce un’immagine. Da niente, emerge qualcosa.

È meditazione applicata. È pratica Zen in azione.

Stare seduti immobili è considerata la postura classica di meditazione. E rimanere seduti immobili per un certo tempo può senz’altro portare benefici ad una società stressata e iperattiva.

Ma quella seduta non è l’unica postura meditativa, e non è nemmeno la massima espressione di disciplina spirituale. Al contrario. Nel buddismo Zen è il lavoro, il fare le cose, che portano all’illuminazione. Il percorso classico verso la liberazione implica infondere gli insegnamenti del Buddha nelle proprie azioni.

Nel suo libro La Via dello Zen, il filosofo Alan Watts ipotizza che nel corso dei secoli l’importanza dello zazen – la meditazione seduta – sia stata sopravvalutata. Sostiene che di fatto il praticare seduti sia stato soltanto un cambiamento dettato da motivi pratici, senza alcuna relazione con la liberazione spirituale. Dal momento che lo Zen si stava diffondendo molto nella società, e i monasteri si riempivano sempre più di giovani indisciplinati da educare, gli insegnamenti hanno enfatizzato la postura seduta perché aiutava in qualche modo a contenere le smanie giovanili.

Ma agli albori lo Zen era dedito a una meditazione attiva. La spiritualità prendeva forma attraverso il lavoro, inteso come arti, mestieri, faccende quotidiane. Il famoso maestro cinese Nan-yüeh Huai-jang sosteneva che “allenarti nella pratica seduta è come allenarti ad essere un Buddha seduto…Se ti attieni solo a quella postura, non farai mai tuoi i principi dello Zen”.

Forse la pratica rende perfetti. Ma il trucco dello Zen è comprendere che la pratica è essa stessa perfetta. Adottare un simile approccio risolve il problema psicologico dell’essere riluttanti, del procrastinare. Perché sai che atteggiamento tenere verso ciò che c’è da fare. Che sia impegnativo, piacevole o difficile, lo fai e basta.

Questa scelta elimina ogni resistenza psicologica e zittisce quella voce nella tua testa che è sempre lì a calcolare, a negoziare e a pensare cose meschine tipo “ma che m’importa?”. T’importa perché hai sposato una filosofia che esalta gli aspetti più luminosi della vita quotidiana.

Il bonus è che questo approccio migliora le tue capacità meditative anche dal punto di vista tecnico, perché la pratica si perfeziona. Più fai una cosa, più diventi bravo a farla, e maggiori sono le probabilità che le magie avvengano naturalmente. E che i tuoi successi e il tuo atteggiamento positivo contagino anche le altre cose che fai.

Watts spiega che il concetto Zen di illuminazione non è qualcosa di trascendente. L’idea è di osservare il mondo così com’è, in uno stato di coscienza ordinario. L’idea è di vivere appieno ogni cosa, compresi i fastidi della vita e le situazioni di routine come preparare la cena, rifare il letto o condurre una riunione. L’obiettivo del praticante non è di galleggiare sopra il mondo, ma di immergersi nel mondo a tutto tondo, a prescindere dalla postura meditativa.

Nello Zen la realtà non si divide tra sacro e mondano. I saggi sono ovunque, e abilità straordinarie nel fare le cose possono portare all’illuminazione.

La parabola del macellaio che entrava in uno stato di flusso offre un esempio di tale maestria in azione. La parabola racconta di un principe che apprende l’arte della macelleria osservando il suo cuoco di corte mentre macella un bue. Dopo tanti anni di pratica, il cuoco ha imparato a smembrare l’animale “con tutto il proprio essere”, al punto che il coltello sembra affondare nella carne secondo percorsi tutti suoi. Prima dei punti più ostici, il cuoco rallenta il movimento, osserva più da vicino e muove il coltello con movenze naturali e ispirate, finché le membra del bue non si staccano.

A quel punto estraggo il coltello dalla carne, resto immobile e mi lascio pervadere dalla gioia del mio lavoro. Poi pulisco la lama e rimetto a posto il coltello.

Questo non succede soltanto nei miti e nelle parabole. Lo posso dire perché ho visto un maestro in azione: Art Lien. Proprio come il macellaio, Lien arriva ad un punto dove smette di pensare e semplicemente osserva. I pensieri non sono più un ostacolo, e l’artista è nel qui e ora con tutto sé stesso. In quello spazio possono accadere cose straordinarie, cose che lo stesso creatore non avrebbe mai potuto prevedere.

Watts scrive che “meditare in azione libera la nostra capacità di rendere magici anche i gesti più semplici della vita quotidiana”. O come è scritto in una poesia Zen: “Che miracoloso potere e che meravigliosa attività. Tagliare la legna e trasportare l’acqua!”.