[Testo] Episodio 105: Meditazione Non è Solo Concentrazione

Se chiedi a diversi praticanti, anche di Mindfulness, di raccontarti la loro esperienza di meditazione, probabilmente ti diranno che iniziano col portare attenzione al respiro, poi stabilizzano l’attenzione e quando questa si distrae la riportano indietro.

Coltivata con regolarità, questa pratica rinforza la capacità di focalizzare e regolare l’attenzione. Col tempo, la mente impara ad accorgersi più velocemente delle distrazioni e ad attivare le opportune contromisure per gestire meglio i pensieri. Questo allenamento mentale permette al praticante di migliorare l’equilibrio tra la sua parte razionale, rappresentata dalla corteccia frontale, e la sua parte più emotiva e istintuale, rappresentata dall’amigdala.

Cosa significa questo ai fini della pratica quotidiana? Che meditare non è soltanto focalizzare l’attenzione.

La corteccia frontale, una delle aree cerebrali che si è sviluppata per ultima rispetto alle altre, si occupa di pensiero razionale, esecutivo e svolge funzioni di supervisione. Possiamo dire quindi che la corteccia frontale è la parte del cervello che pensa, che registra e collega tra di loro i fatti e a partire da quelli astrae, decide e arriva a delle conclusioni.

L’amigdala, invece, è la parte più primitiva del nostro cervello, quella che ha a che fare con le emozioni primarie, ed è responsabile della reazione di attacco o fuga. L’amigdala ha tempi di reazione cento volte più veloci rispetto alla corteccia frontale, e questo spiega il perché la paura e la rabbia sorgono così rapidamente, mentre la risposta razionale impiega più tempo.

Di fatto l’amigdala e la corteccia frontale sono spesso in contrapposizione, e questa è un’esperienza comune dal momento che tutti dobbiamo continuamente equilibrare la parte emotiva e quella razionale. Cosa che non è sempre facile da realizzare.

Quando perdiamo quell’equilibrio, ad esempio perché percepiamo una minaccia, il più delle volte è l’amigdala che prevale, costringendo la corteccia frontale e altre aree del cervello a funzionare in modo poco efficiente così da permettere al corpo di reagire al massimo delle proprie possibilità.

Studi clinici effettuati in Italia e Danimarca dai ricercatori Chiesa, Serretti e Jakobsen per mezzo della risonanza magnetica funzionale sembrano confermare che la pratica di Mindfulness aiuta ad abbassare la sensibilità dell’amigdala agli stimoli esterni. Questo significa che non è il cervello razionale che controlla quello emotivo, ma è l’amigdala che viene allenata a gestire meglio gli stimoli stressogeni e gli eventi della vita.

Torniamo all’attenzione focalizzata. Se meditare volesse dire unicamente mantenere un’attenzione focalizzata sul respiro, allora si tratterebbe solo di concentrazione. Non che questa sia negativa, anzi. Quando impariamo come sviluppare e utilizzare il controllo attenzionale, impariamo a cosa prestare attenzione e a cosa no. La funzione concentrativa viene svolta, a livello cerebrale, dalle aree frontali, come la corteccia cingolata anteriore, e sembra essere collegata alla memoria di lavoro. È quindi una competenza importante da sviluppare, ma per quanto abbiamo visto è solo una parte di come funziona la meditazione.

All’attenzione focalizzata, la meditazione affianca la metacognizione, ovvero la pratica dell’osservare i propri pensieri e le proprie emozioni. È una pratica che certamente implica la regolazione attenzionale, ma anche la consapevolezza dei pensieri, delle emozioni e degli stimoli sensoriali. È quindi qualcosa di più del semplice riportare l’attenzione al respiro. È notare ciò che avviene nella nostra mente.

Perché questo è importante per chi medita? Perché quando inizi a osservare i tuoi pensieri, ti rendi conto molto presto che sono soltanto pensieri. In quanto tali portano con sé una serie di emozioni e di sensazioni, ma impari a comprendere che quelle emozioni e sensazioni sono materiale tuo.

In altre parole, i pensieri sono la tua personale, individuale e soggettiva risposta a uno stimolo. Puoi osservare come sorgono, come agiscono su di te, e come passano. Puoi notare che ogni pensiero crea un effetto a catena, per cui altri pensieri sorgono, e col tempo puoi imparare quando e perché questo avviene. Alla fine però i pensieri non sono necessariamente veri, se non per te. Hanno l’importanza che TU gli dai. Quella, e nulla di più.

Imparerai allora che i tuoi pensieri, quelli di cui ti servi per giudicare il mondo, sono fortemente di parte. Sono di parte perché sono il risultato di chi sei tu, della tua empatia, delle tue emozioni e del tuo vissuto. E imparare a filtrare ciò che c’è di tuo nei tuoi pensieri può aiutarti a prendere decisioni migliori, a vivere una vita più empatica, e a ridurre i livelli di stress e ansia.

Prendere decisioni che non sono influenzate dai tuoi pregiudizi, o quantomeno che sai essere influenzate dai tuoi pregiudizi, ti permette di sviluppare la capacità di scegliere come rispondere a pensieri ed emozioni. A quel punto non sei più solo reattivo. Puoi scegliere la risposta più adatta ad ogni situazione e in questo modo non esserne più schiavo.