[Testo] Episodio 148: Imparare a Morire per Vivere Pienamente la Vita

Sto portando i miei due figli a scuola. Litigano per accaparrarsi una merendina. Mentre cerco di tenere a bada le loro urla che arrivano dai sedili posteriori della macchina, all’improvviso mi viene in mente un’immagine del mio funerale.

Nella scena, mio figlio più grande è un adulto ben vestito con ancora il volto lentigginoso dei suoi cinque anni bagnato dalle lacrime. Dice “amavo mia madre perché era generosa”. L’altro mio figlio è seduto su una panca e annuisce, ripensando a tutte le volte in cui ho rinunciato a vedere degli amici oppure ho spostato degli impegni di lavoro per potergli rimboccare le coperte prima di addormentarsi.

Può sembrare un po’ morboso, ma mi capita spesso di pensare alla mia morte, non tanto il momento del trapasso in sé, ma quello che succederà dopo. Come sarà il mondo che conosco senza di me. Non che pensi di morire a breve, o che lo desideri. Sono solo ben consapevole che a un certo punto, in un futuro vicino o lontano, non esisterò più.

Sinceramente, guardare in faccia il fatto che su questa Terra sono solo di passaggio mi mette a disagio. Per la maggior parte di noi, la morte è qualcosa di troppo misterioso per poter provare qualcosa di diverso. Nessuno di noi è morto, ovviamente, quindi è difficile anche solo capire cosa voglia dire.

Per certe persone, però, ad esempio quelle che si ritrovano nei death café o frequentano l’Art of Dying Institute, è proprio questa la ragione per cui è così importante familiarizzare con l’idea della morte: riflettere su questa cosa così misteriosa e parlarne la rende meno spaventosa e più abbordabile. Esistono diversi riscontri che dicono che tenere sempre presente la nostra mortalità può avere effetti benefici sulla psiche: uno studio effettuato su operatori di pompe funebri ha dimostrato che i veterani del settore, quelli per capirci con più funerali sulle spalle, sono meno ansiosi nei confronti della morte rispetto ai loro colleghi più giovani. Un altro studio ha evidenziato che entrare ripetutamente in contatto con la morte, come accade a chi lavora in un hospice, provoca ogni volta la sensazione di “vivere un nuovo inizio”.

Dagli studi emerge anche che la mia abitudine un po’ morbosa di immaginare il mio funerale può avere effetti benefici che vanno al di là del semplice scappare da un minivan in preda al caos. Kathleen Gilbert è professore emerito presso la Scuola di Salute Pubblica dell’Universitá dell’Indiana ed esperta di tanatologia, la scienza che studia la morte. Gilbert afferma che riflettere sulla propria morte mette in una prospettiva nuova anche la vita. Contemplare la nostra mortalità può sembrare un modo per distrarci dalla realtà, ma di fatto è vero il contrario: ci radica nella realtà.

Gilbert sostiene che nella nostra cultura è così forte la tendenza a proiettarci sempre in avanti che nemmeno ci viene in mente di provare a goderci il presente. Tutto viene rimodulato in ottica futura. Riflettere sulla morte può aiutarci a rimanere centrati nel presente e a chiederci cosa nella nostra vita ci dà gioia, ci rende felici o ci gratifica.

Ma non si tratta soltanto di godersi il presente. Riflettere sulla propria morte è anche un’opportunità per aggiustare il tiro, per usare il tempo che abbiamo a disposizione per diventare la persona che vogliamo essere.

Katherine Arnup è professore associato presso l’Universitá di Carlton in Canada. Lavora come volontaria presso un hospice e sta scrivendo un libro sulla morte e sul morire. Sostiene che poiché una profonda consapevolezza della morte può aiutarci a vedere con chiarezza ciò che è importante per noi, può anche aiutarci a fare scelte coerenti con i nostri valori.

Per esempio, diventando più consapevole della finitezza della vita, forse potresti decidere di cambiare il tuo lavoro che non ti soddisfa o prenotare finalmente quel viaggio in Europa che hai sempre sognato. O nel mio caso potrei passare più tempo a riflettere su come vorrei essere ricordata dalle persone che amo. Ho scoperto ad esempio che quando i miei figli danno fuori di matto mi è più facile dare fondo alle ultime riserve di pazienza se penso che la mia reazione potrebbe un giorno diventare materiale per il loro discorso al mio funerale. Ci sono anche riscontri sul fatto che essere ben consapevoli della propria mortalità può renderci meno rigidi rispetto alle nostre opinioni e più generosi verso gli altri.

Forse perché di fronte alla realtà della morte diventiamo tutti più umili. Arnup racconta che l’impegno settimanale all’hospice è il suo personale promemoria per ricordarsi che siamo tutti destinati a morire: giovani, vecchi, buoni, meno buoni.

Il segreto naturalmente sta nell’equilibrio. Gilbert sostiene che rimuovere completamente l’idea della morte non è salutare. Ma non lo è nemmeno essere ossessionati dall’idea della propria mortalità. Riflettere sulla morte che prima o poi arriverà dovrebbe aiutarci a vivere una vita piena e gratificante qui e adesso.

Mentre la folla presente al mio funerale immaginario celebra la mia vita fatta di altruismo e generosità, mio figlio più grande mi chiede qualcos’altro da mangiare. Torno alla realtà, e a tutte le occasioni che mi offre per diventare la persona gentile e generosa che voglio essere. A cominciare dalle merendine.