[Testo] Episodio 106: L'Arte Perduta dell'Ascolto

Avevo avuto una di quelle settimane in cui ti sembra che la trama della tua vita sia stata scritta da un autore dotato di un umorismo macabro e perverso. Mi aveva lasciata svuotata, stremata ed esaurita e avevo un gran bisogno dei consigli di un amico.

È stato allora che ho mandato un messaggio a un amico dicendogli “Ho bisogno di un tuo consiglio. Ci possiamo vedere? Il caffè lo offro io”. Per fortuna il mio amico mi ha risposto di si. E non appena l’ho notato nel bar dove ci eravamo dati appuntamento, la mia tensione ha iniziato a sciogliersi.

Una volta seduti mi ha detto “allora, che succede?”

Ho iniziato a raccontargli il motivo del mio malessere, legato al lavoro. Dopo poco però, mi ha interrotto. “Non sai cosa mi è successo in ufficio questa settimana…” E da lì è partito con un monologo di venti minuti sul fatto che il suo lavoro è così bello e ha così tanti lati positivi che c’è solo l’imbarazzo della scelta.

A un certo punto ho provato a intervenire, ma non appena ho iniziato a parlare, lui ha rivolto lo sguardo altrove con un’espressione un po’ spenta e ho capito che era tornato a pensare ai fatti suoi e a cosa dire dopo. Difficile non sentirmi sgradevolmente rifiutata. Sapeva che avevo bisogno di aprirmi e di parlare, ma invece aveva approfittato della situazione per parlare lui di sé. Sono rimasta lì, scocciata e sconcertata, e ho deciso che non valeva nemmeno la pena di provarci.

In realtà da questo punto di vista nemmeno io sono uno stinco di santo. So bene che a volte mi sono sentita così felice, triste o arrabbiata che morivo dalla voglia di parlare con qualcuno. E se ero con un’amica o un amico, ho approfittato delle sue parole per parlare in realtà di quello che volevo io.

Ma grazie alla pratica dell’ascolto consapevole, col tempo sono diventata molto più brava ad ascoltare.

L’ascolto consapevole ha origine nella tradizione buddista ma è una di quelle pratiche che chiunque può – e secondo me dovrebbe – coltivare.

Ho incontrato per la prima volta l’ascolto consapevole alcuni anni fa a un incontro buddista. Eravamo una quindicina di persone, tutti seduti in cerchio su delle sedie. La donna che guidava l’incontro ha invitato ciascuno di noi a condividere cosa ci passava per la testa o come ci sentivamo in quel momento, mentre il resto del gruppo doveva focalizzare la propria attenzione su chi stava parlando, con l’intenzione di ascoltarlo in modo autentico e profondo. Nessun altro poteva parlare, e questo a prescindere da quello che la persona stava dicendo o dal nostro desiderio di darle un consiglio. Dovevamo solo ascoltare.

Dico “solo”, ma in realtà ascoltare davvero senza distrarsi può essere molto difficile. Come ho scoperto quando la prima donna ha iniziato a parlare e ha raccontato ogni più piccolo dettaglio della sua giornata, compresa la farcitura del toast che aveva mangiato a colazione e il percorso che aveva fatto per venire fin qui.

Invece di ascoltare in modo autentico, ho iniziato a giudicare in modo autentico. Ho iniziato a borbottare nella mia testa “perché ci racconta tutta questa roba? Non è quello che ci è stato chiesto. Ci è stato chiesto di dire come ci sentiamo”. Poi ho rivolto i miei pensieri giudicanti all’idea stessa di ascolto consapevole: “a cosa serve quello che stiamo facendo se non possiamo nemmeno dare un consiglio? Come può essere d’aiuto alla persona che sta parlando?”

A quel punto un uomo ha iniziato a parlare delle difficoltà che aveva incontrato dopo la separazione dalla moglie. Ho smesso di dare giudizi e ho ascoltato con più attenzione.

Mentre l’uomo si apriva a noi ho sentito l’energia del gruppo cambiare. L’attenzione di ognuno era letteralmente assorbita e concentrata su di lui; lo accoglieva e lo sosteneva. Alla fine del suo racconto mi sono chiesta se desiderasse che qualcuno di noi dicesse qualcosa – una storia simile tratta dalla nostra esperienza o una perla di saggezza – ma l’uomo sembrava essere autenticamente grato. Grazie, ha sussurrato, con gli occhi lucidi bagnati dalle lacrime. Grazie.

Poi è venuto il mio turno.

Ho iniziato col raccontare al gruppo le difficoltà che stavo incontrando dopo essermi trasferita in una città dove non conoscevo nessuno, ma poi sono passata subito a ciò che mi angosciava davvero – la grave malattia di una persona cara.

In quei momenti il fatto che non avessi mai incontrato prima quelle persone e che non sapessi nulla di loro non aveva alcuna importanza. Non aveva alcuna importanza che stessi mostrando loro la parte più vera e vulnerabile di me, perché mi sentivo avvolta dalla loro totale attenzione, e questo mi faceva sentire al sicuro, e a mio agio.

In questo mondo perennemente distratto – dal nostro ego, dalle nostre paure e dai nostri cellulari – il dono più grande che possiamo fare a un altro essere umano è di essere completamente presenti per lui e ascoltarlo in modo autentico, consapevole, senza distrazioni, senza giudizi…e senza parole.