Proviamo a immaginare questa situazione: nel bel mezzo dell’ora, uno dei tuoi studenti ti rivolge di proposito una frase offensiva che provoca l’ilarità della classe e rischia di far deragliare la lezione. I tuoi pugni si stringono e senti una contrazione nel petto. Prima di rendertene conto, stai già rispondendo con un tono aggressivo che, da un lato, non calma lo studente e, dall’altro, ti fa passare il resto della giornata a chiederti se sei all’altezza del tuo ruolo.
Questo scenario è solo uno dei tanti che concorrono allo stress quotidiano di un insegnante, e che, col tempo, possono portare a fenomeni di burnout — un rischio primario per chi lavora nel settore educativo. Spesso, va detto, lo stress si alimenta anche (soprattutto?) della carenza, da parte dell’insegnante, di competenze emotivo-relazionali atte a gestire al meglio il carico emotivo tipico di questo mestiere, carenza che può diminuire l’efficacia del docente.
A mio parere la Mindfulness in ambito scolastico può essere di supporto secondo tre diverse modalità. Tutte presuppongono insegnanti-praticanti:
Il primo punto ci riporta direttamente allo scenario iniziale. Ed è, forse, il più semplice da realizzare, almeno nella nostra scuola di oggi. Con una pratica regolare, l’insegnante sviluppa migliori capacità di gestione dello stress in situazioni emotivamente cariche ed affina la qualità dell’ascolto di sè e dei propri studenti. Non è un caso che i percorsi basati sulla Mindfulness rivolti agli insegnanti stiano vivendo una rigogliosa fioritura (arriveranno prima o poi anche qui in Italia).
Adottare una pedagogia ispirata alla Mindfulness comporta un salto di livello non banale e può essere fatto, a mio modo di vedere, solo da insegnanti che abbiano assimilato la pratica come stile di vita. Per certo non può essere imposto dall’alto ma, eventualmente, solo coltivato dal basso, ovvero seguendo le inclinazioni del proprio cuore e della propria tradizione spirituale. Lo slogan di tale approccio potrebbe essere “insegnare è creare uno spazio”, uno spazio che l’allievo, non il docente, è invitato a riempire.
La terza ipotesi di lavoro mi appare, da non addetto ai lavori, remota. Per quanto anche in questo caso gli effetti benefici sul clima in classe e sull’apprendimento siano dimostrabili. Forse un domani, grazie a qualche amministratore illuminato, burocrazia ministeriale permettendo. Chissà.
Mi piace pensare che ogni insegnante sia naturalmente portato ad ascoltare i propri allievi con empatia e compassione. Ma spesso queste qualità si perdono nello stress quotidiano della vita in classe, e ciò che ne soffre di più è la relazione fondamentale tra insegnante e studente. Per tornare all’esempio iniziale, coltivando la gentilezza attraverso pratiche di Mindfulness, un insegnante che si trovi di fronte a un allievo “difficile” potrebbe chiedergli, “Cosa ti sta succedendo?” invece che “Cosa c’è che non va?” — una risposta più accogliente in grado di favorire, invece che ostacolare, la relazione insegnante-studente.
La pratica di Mindfulness non è la panacea di tutti i mali. Nonostante questo, la ricerca suggerisce che per un insegnante può essere una solida base sulla quale costruire le proprie competenze emotivo-relazionali e, a cascata, migliorare l’efficacia del proprio insegnamento. Fatto anche di empatia, presenza, ascolto. E meno stress.
]]>1. come stai emotivamente in questo momento?
2. cosa stai facendo ora?
3. stai pensando a qualcosa di diverso rispetto a ciò che stai facendo?
Dopo aver raccolto ed elaborato oltre 250 mila risposte, i due ricercatori hanno stilato un modello di come la nostra mente e il nostro umore fluttuano di momento in momento. I risultati, da prendere cum grano salis, sono comunque interessanti:
Visto l’effetto che la distrazione produce sulla nostra felicità, ma anche talvolta sulla nostra incolumità, non sarebbe meglio imparare (già a scuola?) a coltivare una mente attenta, calma e concentrata?
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