In tutte le tradizioni spirituali, man mano che si presta attenzione a queste difficoltà, la nostra comprensione e compassione aumentano, poiché è attraverso queste difficoltà che il percorso spesso si sviluppa. Come diceva il maestro Ajahn Chah, “Quando si impara di più, quando i tempi sono facili o quando sono difficili?”
Nella tradizione mistica cristiana, così come nello Zen, ci sono testi che descrivono i dèmoni che incontra chi intraprende una pratica di meditazione. Com’è possibile comprendere e lavorare con quei dèmoni? Gli insegnamenti buddisti dicono di cominciare esattamente da dove ti trovi, con gli ostacoli più comuni come il dolore fisico e l’irrequietezza, la rabbia, il dubbio e la paura. Invece di resistere o cercare di liberarsene, atteggiamento che di solito li mantiene bloccati, puoi nominarli e riconoscerli gentilmente e circondarli di consapevolezza e compassione. Fai spazio per loro e ammorbidisciti intorno a loro. Respira e diventa un testimone amorevole. Invitali ad aprirsi e a mostrarti la loro danza. Mentre li lasci aprire senza resistere, si ammorbidiscono o si dissolvono o si trasformano in altre energie. Non sempre, però. A volte diventano piuttosto intensi per un po’ di tempo, ma senza resistenza e con pazienza e curiosità, alla fine cambiano. Lo fanno sempre.
E con questa pratica impari ad avere una profonda fiducia. Scopri che la consapevolezza può contenere tutto. Diventi tu stesso consapevolezza spaziosa. Poi, mentre la meditazione si approfondisce oltre il livello quotidiano, anche le energie, le visioni, gli stati mentali e le difficoltà più estreme, piacevoli o spaventose, diventano lavorabili.
Per trovare la libertà è necessaria una stabilizzazione del cuore, una fiducia nella consapevolezza, una disposizione a essere presente a tutto ciò che c’è.
Gli stessi ostacoli che sorgono diventano così la tua opportunità per risvegliarti.
]]>Dato che siamo molto di più che non la somma dei nostri pensieri e idee e opinioni – compresi i pensieri su chi siamo e sul mondo, e sulle storie e le spiegazioni che ci andiamo raccontando su tutto quanto – lasciarci cadere nella nuda esperienza del momento presente vuol dire in realtà lasciarci cadere proprio nelle qualità che vorremmo coltivare: esse provengono tutte dalla consapevolezza, ed è proprio nella consapevolezza che cadiamo quando smettiamo di cercare di andare da qualche parte o di provare una sensazione speciale per consentirci finalmente di essere proprio là dove siamo, di stare con quello che proviamo proprio in questo momento.
Jon Kabat-Zinn
]]>Queste fantasie non possono essere alimentate all’infinito e quando la difficoltà a realizzarle diventa evidente, il neo-praticante cade in preda allo sconforto e alla delusione. E talvolta abbandona la pratica considerandola inefficace o inadatta. Alla base di tale scelta può esserci la legittima fatica di affrontare le sofferenze della vita.
L’infatuazione per la pratica è una forma di samudaya, un’energia che si manifesta come reazione di evitamento nei confronti della sofferenza. Il disappunto, invece, fa parte delle reazioni avverse della pratica, uno stato non propizio indotto dall’aver intrapreso un sentiero meditativo con motivazioni che possono essere fuorvianti.
La pratica richiede pazienza, fiducia, impegno e disciplina. L’unico modo per coltivarla è innamorarsene.
]]>Magari c’è rabbia, che si manifesta in diverse forme. All’inizio è importante vederla come il frutto della medesima radice avversiva che dà vita ad altre emozioni, come la paura. Diamole un nome, sentiamo come si manifesta nel corpo, notiamo se è solida e immutabile oppure amorfa e cangiante, e osserviamo quando passa. A quel punto, com’è nel nostro corpo-mente?
E’ importante fare questo lavoro di consapevolezza con tutti gli stati mentali, siano essi piacevoli, spiacevoli o neutri. Possiamo scegliere due o tre etichette così da non complicare troppo la pratica: ad esempio paura, tristezza, gioia. La pratica qui non consiste nel definire alla perfezione il nostro stato mentale, quanto notare che questo strato di esperienza sorge e passa in base a cause e condizioni, è in costante flusso e non abbiamo modo di controllarlo. Così facendo, con il tempo, possiamo imparare a dis-identificarci da quello stato mentale, possiamo imparare a non considerarlo come “io” o “mio”. Diversamente, non faremo altro che aggiungere ulteriore sofferenza alle nostre vite.
La pratica di Mindfulness è uno strumento delicato e straordinariamente efficace per coltivare il benessere nostro e delle creature che ci circondano. Cosa aspettiamo a praticare?
]]>Le grandi tradizioni meditative ci insegnano che tutto può essere meditazione, che ogni momento può diventare occasione di presenza consapevole, ma nella vita reale quell’ambizione si rivela alquanto difficile da realizzare. Serve davvero una lunga esperienza di pratica per poter mantenere uno stato di presenza meditativa nelle nostre relazioni.
Nella vita di tutti i giorni è più facile mantenere uno stato meditativo se siamo immersi nel silenzio, e per questa ragione diverse tradizioni utilizzano attività manuali come occasione per coltivare la calma interiore. In Medio Oriente, la tessitura dei tappeti e la lavorazione del rame; nelle comunità cristiane, la carpenteria; nei gruppi di Gurdjieff, tutto, dal cucinare al costruire, è occasione per sviluppare presenza mentale. In tali situazioni si creano condizioni favorevoli per resistere all’essere divorati dagli automatismi di attaccamento e avversione e per mantenere viva l’attenzione al proprio lavoro interiore. Tuttavia, quando proviamo a portare tale lavoro nell’ambito relazionale, veniamo inghiottiti dai nostri condizionamenti: emozioni, ruoli sociali, aspettative.
Per “vincere” la sfida della Mindfulness in relazione è fondamentale recuperare la nostra naturale capacità di stare in ascolto di noi stessi e, al contempo, dell’altro. Ovvero, imparare ad osservare momento dopo momento, in maniera rilassata, accogliente e non compulsiva, ciò che accade in noi, nell’altro e nel campo energetico che co-creiamo. Coltivare una pratica interpersonale ci aiuterà a diventare esseri umani più lucidi, più gentili, più compassionevoli.
]]>Questa visione d’insieme è preziosa: ci aiuta a discernere ciò che è salutare, ovvero riduce la sofferenza, da ciò che non lo è. E ad agire per il beneficio nostro e di tutti gli esseri senzienti.
]]>Talvolta al termine degli incontri leggo una poesia per sottolineare emotivamente passaggi importanti della pratica. Questo genera in molti un senso di libertà e apertura, permettendo una spaziosità interpretativa, un fiorire dei sensi, e una profonda comprensione, del tutto diversa rispetto a quella cognitiva. Proprio come la Mindfulness, la poesia non cerca di aggiustare le cose ma agisce come uno specchio o una lente che ci aiuta a vederle più chiaramente.
E’ lo stesso Kabat-Zinn a suggerire l’idea della poesia come una lente che può “…migliorare la nostra visione…la nostra capacità di sentire l’intensità e l’importanza delle nostre esperienze, delle nostre menti, delle nostre vite, con modalità che possono aiutarci a comprendere dove la pratica ci sta invitando a guardare, a cosa ci sta invitando ad aprirci, e soprattutto, cosa ci sta permettendo di sentire e conoscere”.
Ogni poesia vibra in modo diverso in ciascuno di noi. Per questo, a volte, prima della lettura suggerisco ai partecipanti di prestare attenzione ai suoi effetti sul corpo e sulla mente. Li invito a notare cosa accade in loro durante l’ascolto, provando a osservare ciò che c’è in maniera curiosa, morbida e rilassata, con compassione e non giudizio.
Come nel caso di questi versi di John Welwood.
Lascia perdere il Risveglio
Siediti ovunque tu sia
E ascolta il vento che canta nelle tue vene.
Senti l’amore, l’anelito, la paura nelle tue ossa.
Apri il tuo cuore a chi tu sei, proprio adesso,
Non a chi ti piacerebbe essere,
Non al santo che ambisci di diventare,
Ma all’essere che è proprio qui davanti a te, dentro di te, attorno a te.
Tutto ciò che sei è benedetto.
Tu sei già di più e di meno
Di qualsiasi cosa tu possa sapere.
Espira,
Tocca,
Lascia andare.
Il nostro cervello è alla continua ricerca di schemi basati su esperienze passate. Quando ne trova uno, riproduce sensazioni, pensieri e comportamenti corrispondenti. Si chiama condizionamento, un sistema che si è affinato nel corso di milioni di anni di evoluzione. Il condizionamento si rivela utile in molte situazioni. Ci permette di comunicare con gli altri, di guidare una macchina, o di riconoscere quando qualcuno è triste.
Altre volte il condizionamento non è così utile. Ciascuno di noi ha abitudini disfunzionali. Ripetiamo azioni e scelte che non porteranno a nulla o che addirittura potrebbero risultare controproducenti. Alcune di queste risposte condizionate non ci sembrano neppure frutto di una scelta; semplicemente ci sembrano ciò che siamo. Possiamo addirittura difendere alcuni di questi comportamenti con frasi del tipo “Non posso farci niente, sono fatto così”. Versione semplificata di: “Se solo immagino di agire in modo diverso, sto male, perciò agisco come ho sempre fatto” oppure “Semplicemente mi dimentico di provare ad agire in modo diverso” o anche “Non saprei proprio come comportarmi in modo diverso”. Sofferenza reale o immaginata, affermazioni definitive su chi siamo, e confusione sono tutti espedienti che la mente condizionata utilizza per tenerci lontani dallo sperimentare nuove strategie.
Come esseri umani, siamo costantemente soggetti a impulsi sotto forma di sensazioni e pensieri. Quando prestiamo attenzione, però, abbiamo scelta. E quello che scegliamo può rinforzare il condizionamento o liberarcene. Consapevolezza e accettazione dei nostri impulsi ci danno l’opportunità di valutare ciò che è più appropriato prima di scegliere una risposta. A volte questa può essere così semplice come lasciare andare e non fare niente.
Tutto quello che facciamo è pratica. Diamo costantemente forma alle nostre vite e alle nostre menti in base a come spendiamo il nostro tempo e a dove rivolgiamo le nostre energie. Essere presenti a ciò che accade dentro e fuori di noi, momento dopo momento, in modo affettuoso e non giudicante, ci offre l’opportunità di liberarci dai condizionamenti e scegliere la vita che vogliamo praticare.
]]>La nostra vera natura.
]]>Un elemento comune a tutte le definizioni è l’idea di Mindfulness come processo relazionale, ovvero Mindfulness non è soltanto sapere ciò che sta accadendo dentro e fuori di me ora, come ad esempio “sto sentendo un suono”. Mindfulness è sapere in un certo modo, ovvero senza attaccamento, senza avversione e senza delusione.
Il semplice essere consapevole momento dopo momento che sto sentendo un suono, assaporando un gusto o percependo una sensazione fisica è certamente di grande beneficio. Ma il fatto che tale consapevolezza sia libera da attaccamento, avversione e delusione è la base per intuizioni e trasformazioni più profonde e durature.
E’ proprio perché riduce nella nostra mente le reazioni abituali e dolorose di attaccamento, avversione e delusione, e perché tale riduzione è la premessa per vedere più chiaramente verità che sono sempre presenti, ma spesso nascoste alla nostra consapevolezza, come la natura interconnessa di tutto ciò che esiste, che la Mindfulness conduce a più amorevole gentilezza.
La Mindfulness è chiamata “la grande protettrice” perché è l’antidoto alla reattività con cui ci relazioniamo alla nostra esperienza. Ci protegge perché ci aiuta a rompere l’incantesimo delle storie, dei miti, delle abitudini, dei pregiudizi e delle bugie che talvolta avvolgono le nostre vite. Possiamo dissolvere quelle visioni distorte e arrivare a vedere con molta più chiarezza ciò che è vero. E quando questo accade, possiamo dare forma alla nostra vita in modo diverso.
Torniamo per un momento al sentire un suono consapevolmente. Ad esempio, il rumore di un cantiere che sta costruendo nuovi alloggi nel centro di meditazione dove stiamo praticando. Ci sono così tanti modi di sentire quel rumore. Lo sentiamo e ci riempiamo di gioia pensando alla generosità dei tanti benefattori che hanno contribuito alla realizzazione dei lavori? Lo sentiamo e ci rallegriamo per il fatto che il centro potrà ospitare ancora più praticanti? Lo sentiamo e ci arrabbiamo perché il rumore sta disturbando la nostra pratica? Lo sentiamo e malediciamo gli operai, che stanno semplicemente lavorando per guadagnarsi da vivere?
La Mindfulness ci insegna che c’è differenza tra il semplice sentire il suono e la storia che gli costruiamo attorno, e quando siamo in grado di vedere quella differenza possiamo guardare a quella storia e vedere se vogliamo perpetrarla, agire in base ad essa oppure no. Possiamo sentire il suono e diventare sempre più coinvolti, reattivi, irritati; o possiamo sentirlo e guardare alla natura dell’esperienza, a cosa sta realmente accadendo dentro di noi. Ciò non significa che non faremo mai nulla nei confronti di suoni irritanti. Significa invece che guarderemo alla nostra reazione con l’intenzione di comprenderla appieno, e capire se, di fatto, l’azione che vogliamo intraprendere è appropriata.
La Mindfulness ci invita ad essere svegli e presenti con equilibrio e serenità, sia quando la nostra esperienza è piacevole, che quando è spiacevole o neutra. Attraverso la continua coltivazione della presenza mentale vediamo la nostra abitudine all’attaccamento, all’avversione, alla delusione, e impariamo a liberarcene. E questa libertà è il terreno fertile dal quale fiorisce l’amorevole gentilezza nei confronti di noi stessi e degli altri.
]]>Quindi, ascoltiamo le sensazioni dell’aria che entra e dell’aria che esce. Focalizziamo la nostra attenzione amorevole sul respiro. E continuiamo così, semplicemente.
]]>Quando parliamo di “fuori”, in realtà questo non è qualcosa di esterno a noi, ma è ciò che i nostri sensi e la nostra mente ci rappresentano di esso. Questo “fuori” che vediamo, annusiamo, tocchiamo, sentiamo, gustiamo e pensiamo, è di fatto “dentro” di noi e parecchio limitato rispetto alla realtà reale, che è notevolmente più ricca rispetto a come la percepiamo.
Inoltre, la nostra personale interpretazione di ciò che i nostri sensi fisici e mentali ci permettono di conoscere, è influenzata da idee e concetti che si sono sedimentati nel nostro sistema nervoso e, salvo rare eccezioni, intercettano il momento presente deviandolo dall’esperienza sensoriale diretta e immediata verso un’esperienza indiretta e mediata da quanto la memoria e la mente ci suggeriscono su di esso.
In altre parole, il nostro contatto con la realtà è spesso ridotto o manipolato da noi stessi, se non talvolta addirittura assente. Viviamo come in un sogno e non ce ne accorgiamo.
La pratica ci aiuta a vedere le cose come sono realmente e non come esse appaiono. Osservare il respiro, i pensieri, le sensazioni fisiche, e lasciarli andare, dirada la nebbia interiore. Con il sostegno di benevolenza, pazienza e determinazione impariamo a vedere i meccanismi con cui interpretiamo la realtà.
La pratica ci risveglia dal sogno.
]]>Nell’epoca di Facebook e delle piattaforme sociali, mettere in piedi un forum e provare a farlo crescere è quasi un atto di coraggio.
Da parte di tutti.
Allora, ci ritroviamo in piazza? :)
]]>Per comprendere meglio cosa sono e come funzionano le sensazioni, è importante sapere che nella psicologia buddista, il singolo istante di esperienza nasce dall’incontro di un oggetto sensoriale (ad esempio un suono), un organo di senso (orecchio) e una coscienza sensoriale (coscienza uditiva). In questo processo, le sensazioni rappresentano la classificazione che diamo, immediatamente dopo il suo sorgere, a ogni istante di esperienza: mi piace, non mi piace, mi è indifferente. Come detto, di solito non notiamo l’iniziale sensazione che scaturisce dall’incontro con un oggetto sensoriale; saltiamo direttamente alla percezione, e da lì ai pensieri e alle emozioni che ne scaturiscono e che a loro volta generano altre sensazioni (mentali). Tutto ciò accade molto velocemente.
Talvolta può sembrare che coesistano sia il piacevole che lo spiacevole, ma è un’illusione dovuta alla natura sempre (e rapidamente) cangiante delle sensazioni. In realtà, in ciascun istante di esperienza sperimentiamo un solo tipo di sensazione.
Perché è importante sviluppare consapevolezza delle sensazioni? Perché sono all’origine del processo pensiero-emozione-azione. Se non prestiamo attenzione alle sensazioni, tenderemo inconsapevolmente a desiderare quelle piacevoli (e ad agire di conseguenza) e ad evitare quelle spiacevoli (e ad agire di conseguenza). Ovvero, faremo fatica a stare in maniera equanime con quello che c’è, condizione necessaria per ridurre la sofferenza.
La buona notizia è che tra la sensazione e la successiva reazione di desiderio / avversione / indifferenza c’è uno spazio. E la pratica di Mindfulness ci aiuta a espanderlo, in modo da poter osservare la sensazione nel momento in cui sorge e poter scegliere se lasciarla andare come fenomeno transitorio oppure darle un seguito.
Detto altrimenti, la Mindfulness ci rende liberi.
]]>Uno dei malintesi più comuni quando si inizia a meditare è che la pratica sia un modo per “spegnere” la mente. La nostra mente è un oggetto radioso, brillante, straordinario, ma non ha interruttori. Meditare non significa entrare in uno stato di apatia né diventare come un vegetale. Durante la pratica possiamo familiarizzare con il nostro corpo e con i nostri pensieri, a seconda di quale pratica stiamo coltivando possiamo anche avere delle intuizioni, ma la nostra mente rimarrà comunque “accesa”.
Un secondo malinteso molto diffuso è che i pensieri sono oggetti negativi dei quali è necessario liberarsi. La nostra mente non può smettere di produrre pensieri. E’ semplicemente la sua natura. Spesso, quando scopriamo che nella nostra mente non ci sono interruttori e i pensieri continuano a sorgere, ci scoraggiamo e pensiamo di essere i peggiori praticanti del mondo. Non è così: da millenni i pensieri abitano le menti di chi pratica. Siamo quindi in ottima compagnia.
Molti tipi di meditazione non contemplano il sopprimere i pensieri, ma piuttosto il familiarizzare con essi in modo salutare. Meditare, in tibetano, si dice “gom”, che letteralmente significa familiarizzare con qualcosa. In altre parole, la meditazione è un modo per fare amicizia con il nostro corpo, i nostri contenuti mentali e con i diversi tipi di pensieri che sorgono nel corso della giornata.
Se pratichiamo shamatha, la meditazione del calmo dimorare, le istruzioni ci dicono di riportare continuamente l’attenzione al respiro. Quasi certamente, a un certo punto sorgerà un pensiero che ci distrarrà. Il nostro compito sarà allora di riportare l’attenzione al semplice fluire dell’aria mentre inspiriamo ed espiriamo. Soprattutto all’inizio, potrebbe essere utile pronunciare mentalmente la parola “pensare”.
Lo scopo di etichettare i nostri pensieri è di aiutarci a riconoscerli. Li notiamo sorgere, ne riconosciamo la presenza dicendoci silenziosamente “pensare” e, come se fossero qualcuno che abbiamo incrociato per strada, dopo averli riconosciuti, proseguiamo nel nostro cammino, in questo caso riportando l’attenzione al respiro.
Riportando ogni volta la nostra attenzione al respiro, con gentilezza, evitiamo che la mente si distragga e diventi irrequieta. Pensieri, immagini, emozioni e sensazioni appariranno. In tutti questi casi li osserveremo, li riconosceremo, e torneremo gentilmente al respiro.
E’ importante essere gentili con noi stessi mentre pratichiamo. Succede spesso di osservare un pensiero e tornare al respiro, per poi vederlo ricomparire subito dopo. Se all’inizio potremmo dirci, con gentilezza, “pensare”, è probabile che dopo alcune ripetizioni quell’etichetta sarà accompagnata da un velo di rabbia o da un giudizio strisciante. Ci giudichiamo in tanti ambìti della nostra vita, proviamo a lasciar fuori il giudizio almeno dalla pratica. E se non ci riusciamo, notiamo il giudizio e lasciamolo andare.
L’attitudine interiore con cui ci trattiamo durante la pratica è probabilmente la stessa che ci porteremo appresso per il resto della giornata. Se utilizziamo la meditazione come un tempo per fare amicizia con noi stessi, per essere gentili e amorevoli verso noi stessi, porteremo questo “tono” in ogni attività della nostra vita. Così facendo, invece di rimuginare su ciò che ci è successo e su quali effetti avrà sul nostro futuro, educhiamo la nostra voce interiore a lasciarci in pace ed educhiamo noi stessi a ritornare a ciò che c’è. Qui e adesso.
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