Pubblicato 
Commenti  Nessuno

Una definizione ampiamente accettata di Mindfulness la descrive come il prestare attenzione a ciò che accade dentro e fuori di noi, nel momento presente, in modo intenzionale, saggio e non giudicante. Nella densità di significato che tale definizione racchiude, le parole “dentro” e “fuori” vengono di solito date un po’ per scontate, anche se non lo sono affatto.

Quando parliamo di “fuori”, in realtà questo non è qualcosa di esterno a noi, ma è ciò che i nostri sensi e la nostra mente ci rappresentano di esso. Questo “fuori” che vediamo, annusiamo, tocchiamo, sentiamo, gustiamo e pensiamo, è di fatto “dentro” di noi e parecchio limitato rispetto alla realtà reale, che è notevolmente più ricca rispetto a come la percepiamo.

Inoltre, la nostra personale interpretazione di ciò che i nostri sensi fisici e mentali ci permettono di conoscere, è influenzata da idee e concetti che si sono sedimentati nel nostro sistema nervoso e, salvo rare eccezioni, intercettano il momento presente deviandolo dall’esperienza sensoriale diretta e immediata verso un’esperienza indiretta e mediata da quanto la memoria e la mente ci suggeriscono su di esso.

In altre parole, il nostro contatto con la realtà è spesso ridotto o manipolato da noi stessi, se non talvolta addirittura assente. Viviamo come in un sogno e non ce ne accorgiamo.

La pratica ci aiuta a vedere le cose come sono realmente e non come esse appaiono. Osservare il respiro, i pensieri, le sensazioni fisiche, e lasciarli andare, dirada la nebbia interiore. Con il sostegno di benevolenza, pazienza e determinazione impariamo a vedere i meccanismi con cui interpretiamo la realtà.

La pratica ci risveglia dal sogno.

Post correlati

Pubblicato 
Commenti  1

Da qualche giorno nel menu principale di questo sito c’è il collegamento al forum, una piazza virtuale dove incontrarsi, condividere esperienze e conoscenza, fare domande, avere risposte. Sulla Mindfulness, ma non solo. E’ appena nato, e l’intenzione è di trasformarlo con il tempo in un appuntamento abituale per una comunità di curiosi, praticanti e aspiranti tali. Per questo c’è bisogno del vostro aiuto: il forum, per sua natura, vive dei contributi di chi vi è iscritto. Se volete, allora, sentitevi liberi di registrarvi e di iniziare a nutrire la creatura. Non abbiate scrupoli né esitazioni. Ogni vostro suggerimento è benvenuto, così come il passaparola ad amici o altre persone interessate.

Nell’epoca di Facebook e delle piattaforme sociali, mettere in piedi un forum e provare a farlo crescere è quasi un atto di coraggio.

Da parte di tutti.

Allora, ci ritroviamo in piazza? :)

Post correlati

Pubblicato 
Commenti  Nessuno

Nelle nostre vite (di praticanti e non) che procedono per obiettivi, uno dei paradossi della Mindfulness è che l’obiettivo della pratica è…praticare. Niente di più e niente di meno. La pratica in sé è semplice ed essenziale: osserva con affetto e curiosità quello che c’è, lascialo andare, torna al respiro. Tutto ciò che aggiungiamo a questo processo in termini di aspettative, risultati e conseguenti giudizi su noi stessi è materiale personale che rischia di indebolire la motivazione e far deragliare la pratica. Ma che può anche essere notato mentre meditiamo. Come? Osservandolo con affetto e curiosità, lasciandolo andare, tornando al respiro.

Post correlati

Pubblicato 
Commenti  Nessuno

La Mindfulness è un’abilità che si può coltivare e sviluppare. I quattro fondamenti della consapevolezza procedono infatti dall’osservazione di oggetti grossolani come le sensazioni fisiche per arrivare ad oggetti più sottili e sfuggenti quali i pensieri e gli stati mentali. In particolare, il secondo fondamento riguarda la consapevolezza delle sensazioni (vedana), ovvero del tono edonico con il quale coloriamo, spesso inconsapevolmente, la realtà percepita dai nostri sensi. Tale tono può essere piacevole, spiacevole o neutro.

Per comprendere meglio cosa sono e come funzionano le sensazioni, è importante sapere che nella psicologia buddista, il singolo istante di esperienza nasce dall’incontro di un oggetto sensoriale (ad esempio un suono), un organo di senso (orecchio) e una coscienza sensoriale (coscienza uditiva). In questo processo, le sensazioni rappresentano la classificazione che diamo, immediatamente dopo il suo sorgere, a ogni istante di esperienza: mi piace, non mi piace, mi è indifferente. Come detto, di solito non notiamo l’iniziale sensazione che scaturisce dall’incontro con un oggetto sensoriale; saltiamo direttamente alla percezione, e da lì ai pensieri e alle emozioni che ne scaturiscono e che a loro volta generano altre sensazioni (mentali). Tutto ciò accade molto velocemente.

Talvolta può sembrare che coesistano sia il piacevole che lo spiacevole, ma è un’illusione dovuta alla natura sempre (e rapidamente) cangiante delle sensazioni. In realtà, in ciascun istante di esperienza sperimentiamo un solo tipo di sensazione.

Perché è importante sviluppare consapevolezza delle sensazioni? Perché sono all’origine del processo pensiero-emozione-azione. Se non prestiamo attenzione alle sensazioni, tenderemo inconsapevolmente a desiderare quelle piacevoli (e ad agire di conseguenza) e ad evitare quelle spiacevoli (e ad agire di conseguenza). Ovvero, faremo fatica a stare in maniera equanime con quello che c’è, condizione necessaria per ridurre la sofferenza.

La buona notizia è che tra la sensazione e la successiva reazione di desiderio / avversione / indifferenza c’è uno spazio. E la pratica di Mindfulness ci aiuta a espanderlo, in modo da poter osservare la sensazione nel momento in cui sorge e poter scegliere se lasciarla andare come fenomeno transitorio oppure darle un seguito.

Detto altrimenti, la Mindfulness ci rende liberi.

Post correlati

Pubblicato 
Commenti  Nessuno

Da anni mi occupo di facilitare e promuovere la pratica della Mindfulness, e in questo tempo ho notato che esistono diversi equivoci su cosa fare con la propria mente durante la meditazione. Se ti sei mai seduto per terra a gambe incrociate, se ti sei mai concentrato sul respiro, e se ti sei mai chiesto subito dopo, “Cosa faccio con tutti questi pensieri?”, ciò che segue ti può aiutare.

Uno dei malintesi più comuni quando si inizia a meditare è che la pratica sia un modo per “spegnere” la mente. La nostra mente è un oggetto radioso, brillante, straordinario, ma non ha interruttori. Meditare non significa entrare in uno stato di apatia né diventare come un vegetale. Durante la pratica possiamo familiarizzare con il nostro corpo e con i nostri pensieri, a seconda di quale pratica stiamo coltivando possiamo anche avere delle intuizioni, ma la nostra mente rimarrà comunque “accesa”.

Un secondo malinteso molto diffuso è che i pensieri sono oggetti negativi dei quali è necessario liberarsi. La nostra mente non può smettere di produrre pensieri. E’ semplicemente la sua natura. Spesso, quando scopriamo che nella nostra mente non ci sono interruttori e i pensieri continuano a sorgere, ci scoraggiamo e pensiamo di essere i peggiori praticanti del mondo. Non è così: da millenni i pensieri abitano le menti di chi pratica. Siamo quindi in ottima compagnia.

Molti tipi di meditazione non contemplano il sopprimere i pensieri, ma piuttosto il familiarizzare con essi in modo salutare. Meditare, in tibetano, si dice “gom”, che letteralmente significa familiarizzare con qualcosa. In altre parole, la meditazione è un modo per fare amicizia con il nostro corpo, i nostri contenuti mentali e con i diversi tipi di pensieri che sorgono nel corso della giornata.

Se pratichiamo shamatha, la meditazione del calmo dimorare, le istruzioni ci dicono di riportare continuamente l’attenzione al respiro. Quasi certamente, a un certo punto sorgerà un pensiero che ci distrarrà. Il nostro compito sarà allora di riportare l’attenzione al semplice fluire dell’aria mentre inspiriamo ed espiriamo. Soprattutto all’inizio, potrebbe essere utile pronunciare mentalmente la parola “pensare”.

Lo scopo di etichettare i nostri pensieri è di aiutarci a riconoscerli. Li notiamo sorgere, ne riconosciamo la presenza dicendoci silenziosamente “pensare” e, come se fossero qualcuno che abbiamo incrociato per strada, dopo averli riconosciuti, proseguiamo nel nostro cammino, in questo caso riportando l’attenzione al respiro.

Riportando ogni volta la nostra attenzione al respiro, con gentilezza, evitiamo che la mente si distragga e diventi irrequieta. Pensieri, immagini, emozioni e sensazioni appariranno. In tutti questi casi li osserveremo, li riconosceremo, e torneremo gentilmente al respiro.

E’ importante essere gentili con noi stessi mentre pratichiamo. Succede spesso di osservare un pensiero e tornare al respiro, per poi vederlo ricomparire subito dopo. Se all’inizio potremmo dirci, con gentilezza, “pensare”, è probabile che dopo alcune ripetizioni quell’etichetta sarà accompagnata da un velo di rabbia o da un giudizio strisciante. Ci giudichiamo in tanti ambìti della nostra vita, proviamo a lasciar fuori il giudizio almeno dalla pratica. E se non ci riusciamo, notiamo il giudizio e lasciamolo andare.

L’attitudine interiore con cui ci trattiamo durante la pratica è probabilmente la stessa che ci porteremo appresso per il resto della giornata. Se utilizziamo la meditazione come un tempo per fare amicizia con noi stessi, per essere gentili e amorevoli verso noi stessi, porteremo questo “tono” in ogni attività della nostra vita. Così facendo, invece di rimuginare su ciò che ci è successo e su quali effetti avrà sul nostro futuro, educhiamo la nostra voce interiore a lasciarci in pace ed educhiamo noi stessi a ritornare a ciò che c’è. Qui e adesso.

Post correlati

← I più vecchi I più recenti →