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Te ne stai seduto lì e senti un prurito. Impulsivamente, muovi il braccio e ti gratti. Tutto è così rapido che non ti viene neppure in mente che potresti anche scegliere di non grattarti. Un collega, un partner, o un amico dice qualcosa, e ti senti arrabbiato, ferito, o infastidito. Di scatto, rispondi con un commento velenoso, ti chiudi nel tuo silenzio, o abbandoni la scena e vai a cercare qualcuno con cui lamentarti. Tutto è così rapido che non ti viene neppure in mente che potresti anche scegliere di rispondere in modo diverso alla situazione.

Il nostro cervello è alla continua ricerca di schemi basati su esperienze passate. Quando ne trova uno, riproduce sensazioni, pensieri e comportamenti corrispondenti. Si chiama condizionamento, un sistema che si è affinato nel corso di milioni di anni di evoluzione. Il condizionamento si rivela utile in molte situazioni. Ci permette di comunicare con gli altri, di guidare una macchina, o di riconoscere quando qualcuno è triste.

Altre volte il condizionamento non è così utile. Ciascuno di noi ha abitudini disfunzionali. Ripetiamo azioni e scelte che non porteranno a nulla o che addirittura potrebbero risultare controproducenti. Alcune di queste risposte condizionate non ci sembrano neppure frutto di una scelta; semplicemente ci sembrano ciò che siamo. Possiamo addirittura difendere alcuni di questi comportamenti con frasi del tipo “Non posso farci niente, sono fatto così”. Versione semplificata di: “Se solo immagino di agire in modo diverso, sto male, perciò agisco come ho sempre fatto” oppure “Semplicemente mi dimentico di provare ad agire in modo diverso” o anche “Non saprei proprio come comportarmi in modo diverso”. Sofferenza reale o immaginata, affermazioni definitive su chi siamo, e confusione sono tutti espedienti che la mente condizionata utilizza per tenerci lontani dallo sperimentare nuove strategie.

Come esseri umani, siamo costantemente soggetti a impulsi sotto forma di sensazioni e pensieri. Quando prestiamo attenzione, però, abbiamo scelta. E quello che scegliamo può rinforzare il condizionamento o liberarcene. Consapevolezza e accettazione dei nostri impulsi ci danno l’opportunità di valutare ciò che è più appropriato prima di scegliere una risposta. A volte questa può essere così semplice come lasciare andare e non fare niente.

Tutto quello che facciamo è pratica. Diamo costantemente forma alle nostre vite e alle nostre menti in base a come spendiamo il nostro tempo e a dove rivolgiamo le nostre energie. Essere presenti a ciò che accade dentro e fuori di noi, momento dopo momento, in modo affettuoso e non giudicante, ci offre l’opportunità di liberarci dai condizionamenti e scegliere la vita che vogliamo praticare.

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La Mindfulness ci insegna a lasciare andare i pensieri, le immagini, i giudizi e i monologhi interiori senza afferrarli né respingerli, e a osservarli come fenomeni insostanziali, transitori che nascono, crescono e muoiono se solo prestiamo loro un po’ di attenzione. Con il progredire della pratica i nostri film mentali si alleggeriscono ed emergono spontaneamente le qualità incommensurabili della compassione, dell’equanimità e dell’amorevole gentilezza.

La nostra vera natura.

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La postura del corpo è un oggetto d’attenzione sempre presente che ci permette di dare continuità alla nostra pratica. E per quanto la postura seduta sia quella ritenuta più idonea per sviluppare la consapevolezza, l’invito del Buddha è a praticare in tutte le situazioni e in tutte le posture: quando siamo seduti, in piedi, sdraiati, mentre camminiamo e, più in generale, mentre ci muoviamo. Così facendo ogni istante della nostra giornata può diventare un’opportunità per irrobustire il muscolo dell’attenzione, stabilizzare la mente e coltivare le qualità del cuore.

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Nei moderni contesti di insegnamento della Mindfulness, essa viene definita in diversi modi: come atto del ricordare, come capacità di essere presenti momento dopo momento, o come una combinazione di consapevolezza e chiara comprensione (sati-sampajanna in lingua Pali).

Un elemento comune a tutte le definizioni è l’idea di Mindfulness come processo relazionale, ovvero Mindfulness non è soltanto sapere ciò che sta accadendo dentro e fuori di me ora, come ad esempio “sto sentendo un suono”. Mindfulness è sapere in un certo modo, ovvero senza attaccamento, senza avversione e senza delusione.

Il semplice essere consapevole momento dopo momento che sto sentendo un suono, assaporando un gusto o percependo una sensazione fisica è certamente di grande beneficio. Ma il fatto che tale consapevolezza sia libera da attaccamento, avversione e delusione è la base per intuizioni e trasformazioni più profonde e durature.

E’ proprio perché riduce nella nostra mente le reazioni abituali e dolorose di attaccamento, avversione e delusione, e perché tale riduzione è la premessa per vedere più chiaramente verità che sono sempre presenti, ma spesso nascoste alla nostra consapevolezza, come la natura interconnessa di tutto ciò che esiste, che la Mindfulness conduce a più amorevole gentilezza.

La Mindfulness è chiamata “la grande protettrice” perché è l’antidoto alla reattività con cui ci relazioniamo alla nostra esperienza. Ci protegge perché ci aiuta a rompere l’incantesimo delle storie, dei miti, delle abitudini, dei pregiudizi e delle bugie che talvolta avvolgono le nostre vite. Possiamo dissolvere quelle visioni distorte e arrivare a vedere con molta più chiarezza ciò che è vero. E quando questo accade, possiamo dare forma alla nostra vita in modo diverso.

Torniamo per un momento al sentire un suono consapevolmente. Ad esempio, il rumore di un cantiere che sta costruendo nuovi alloggi nel centro di meditazione dove stiamo praticando. Ci sono così tanti modi di sentire quel rumore. Lo sentiamo e ci riempiamo di gioia pensando alla generosità dei tanti benefattori che hanno contribuito alla realizzazione dei lavori? Lo sentiamo e ci rallegriamo per il fatto che il centro potrà ospitare ancora più praticanti? Lo sentiamo e ci arrabbiamo perché il rumore sta disturbando la nostra pratica? Lo sentiamo e malediciamo gli operai, che stanno semplicemente lavorando per guadagnarsi da vivere?

La Mindfulness ci insegna che c’è differenza tra il semplice sentire il suono e la storia che gli costruiamo attorno, e quando siamo in grado di vedere quella differenza possiamo guardare a quella storia e vedere se vogliamo perpetrarla, agire in base ad essa oppure no. Possiamo sentire il suono e diventare sempre più coinvolti, reattivi, irritati; o possiamo sentirlo e guardare alla natura dell’esperienza, a cosa sta realmente accadendo dentro di noi. Ciò non significa che non faremo mai nulla nei confronti di suoni irritanti. Significa invece che guarderemo alla nostra reazione con l’intenzione di comprenderla appieno, e capire se, di fatto, l’azione che vogliamo intraprendere è appropriata.

La Mindfulness ci invita ad essere svegli e presenti con equilibrio e serenità, sia quando la nostra esperienza è piacevole, che quando è spiacevole o neutra. Attraverso la continua coltivazione della presenza mentale vediamo la nostra abitudine all’attaccamento, all’avversione, alla delusione, e impariamo a liberarcene. E questa libertà è il terreno fertile dal quale fiorisce l’amorevole gentilezza nei confronti di noi stessi e degli altri.

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Gli allievi dei corsi mi chiedono talvolta di poter accedere a livelli più avanzati di pratica. Domanda legittima, considerata la nostra abitudine a scandire l’apprendimento per livelli successivi. Paradossalmente, però, domanda superflua per ciò che riguarda la Mindfulness. Infatti, una volta che abbiamo imparato a praticare quando sediamo, quando camminiamo, quando stiamo in piedi e quando siamo sdraiati, abbiamo tutto ciò che serve per sviluppare una solida pratica di consapevolezza che, se solo siamo motivati a farlo, possiamo coltivare per tutta la vita e della quale possiamo cogliere e condividere tutti i benefici possibili.

Quindi, ascoltiamo le sensazioni dell’aria che entra e dell’aria che esce. Focalizziamo la nostra attenzione amorevole sul respiro. E continuiamo così, semplicemente.

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