Basta cercare “mindfulness” su Google per rendersene conto. Nei risultati, l’associazione più frequente è con parole quali ansia, stress, protocolli MBSR, MBCT, MBRP. Come si conviene a una tecnica meditativa che negli ultimi anni ha assunto una forte connotazione clinica e scientifica. Saki Santorelli, del Centro per la Mindfulness dell’Università del Massachusetts, saggiamente però chiarisce che “non è il prestare attenzione in sé e per sé che aiuta a coltivare la consapevolezza: c’è una qualità, una pienezza del cuore, un’apertura, una sorta di tenerezza che davvero è l’elemento centrale di ciò che chiamiamo consapevolezza. E’ ciò che ci permette di andare incontro a tutto ciò che arriva nelle nostre vite, nella nostra mente, nel corpo e nel mondo attorno a noi, con un atteggiamento di ospitalità, di intimità, di partecipazione e di vicinanza”.
Non basta la nuda attenzione, quindi. Non basta la tecnica. L’attitudine e le qualità del cuore che infondiamo nella pratica sono altrettanto importanti, e fanno la differenza.
Mindfulness come mero strumento clinico validato scientificamente, allora? No, grazie.
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