La mente in meditazione

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Da anni mi occupo di facilitare e promuovere la pratica della Mindfulness, e in questo tempo ho notato che esistono diversi equivoci su cosa fare con la propria mente durante la meditazione. Se ti sei mai seduto per terra a gambe incrociate, se ti sei mai concentrato sul respiro, e se ti sei mai chiesto subito dopo, “Cosa faccio con tutti questi pensieri?”, ciò che segue ti può aiutare.

Uno dei malintesi più comuni quando si inizia a meditare è che la pratica sia un modo per “spegnere” la mente. La nostra mente è un oggetto radioso, brillante, straordinario, ma non ha interruttori. Meditare non significa entrare in uno stato di apatia né diventare come un vegetale. Durante la pratica possiamo familiarizzare con il nostro corpo e con i nostri pensieri, a seconda di quale pratica stiamo coltivando possiamo anche avere delle intuizioni, ma la nostra mente rimarrà comunque “accesa”.

Un secondo malinteso molto diffuso è che i pensieri sono oggetti negativi dei quali è necessario liberarsi. La nostra mente non può smettere di produrre pensieri. E’ semplicemente la sua natura. Spesso, quando scopriamo che nella nostra mente non ci sono interruttori e i pensieri continuano a sorgere, ci scoraggiamo e pensiamo di essere i peggiori praticanti del mondo. Non è così: da millenni i pensieri abitano le menti di chi pratica. Siamo quindi in ottima compagnia.

Molti tipi di meditazione non contemplano il sopprimere i pensieri, ma piuttosto il familiarizzare con essi in modo salutare. Meditare, in tibetano, si dice “gom”, che letteralmente significa familiarizzare con qualcosa. In altre parole, la meditazione è un modo per fare amicizia con il nostro corpo, i nostri contenuti mentali e con i diversi tipi di pensieri che sorgono nel corso della giornata.

Se pratichiamo shamatha, la meditazione del calmo dimorare, le istruzioni ci dicono di riportare continuamente l’attenzione al respiro. Quasi certamente, a un certo punto sorgerà un pensiero che ci distrarrà. Il nostro compito sarà allora di riportare l’attenzione al semplice fluire dell’aria mentre inspiriamo ed espiriamo. Soprattutto all’inizio, potrebbe essere utile pronunciare mentalmente la parola “pensare”.

Lo scopo di etichettare i nostri pensieri è di aiutarci a riconoscerli. Li notiamo sorgere, ne riconosciamo la presenza dicendoci silenziosamente “pensare” e, come se fossero qualcuno che abbiamo incrociato per strada, dopo averli riconosciuti, proseguiamo nel nostro cammino, in questo caso riportando l’attenzione al respiro.

Riportando ogni volta la nostra attenzione al respiro, con gentilezza, evitiamo che la mente si distragga e diventi irrequieta. Pensieri, immagini, emozioni e sensazioni appariranno. In tutti questi casi li osserveremo, li riconosceremo, e torneremo gentilmente al respiro.

E’ importante essere gentili con noi stessi mentre pratichiamo. Succede spesso di osservare un pensiero e tornare al respiro, per poi vederlo ricomparire subito dopo. Se all’inizio potremmo dirci, con gentilezza, “pensare”, è probabile che dopo alcune ripetizioni quell’etichetta sarà accompagnata da un velo di rabbia o da un giudizio strisciante. Ci giudichiamo in tanti ambìti della nostra vita, proviamo a lasciar fuori il giudizio almeno dalla pratica. E se non ci riusciamo, notiamo il giudizio e lasciamolo andare.

L’attitudine interiore con cui ci trattiamo durante la pratica è probabilmente la stessa che ci porteremo appresso per il resto della giornata. Se utilizziamo la meditazione come un tempo per fare amicizia con noi stessi, per essere gentili e amorevoli verso noi stessi, porteremo questo “tono” in ogni attività della nostra vita. Così facendo, invece di rimuginare su ciò che ci è successo e su quali effetti avrà sul nostro futuro, educhiamo la nostra voce interiore a lasciarci in pace ed educhiamo noi stessi a ritornare a ciò che c’è. Qui e adesso.

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